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IL PIANETA DELLE SCIMMIE
(PLANET OF THE APES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 settembre 2001
 
di Tim Burton, con Mark Wahlberg, Estella Warren, Helena Bonham-Carter, Tim Roth, Michael Clarke (Stati Uniti, 2001)
 
Terribilmente attualizzato (o relativizzato) dagli avvenimenti che stiamo vivendo, IL PIANETA DELLE SCIMMIE verrà ricordato come un film minore di uno degli ultimi creatori liberi del cinema americano; uno dei pochi poeti che (almeno finora) non si era lasciato fagocitare dall'appiattimento imperante. Ma questo non tanto per non essere quel remake del film mitico di Schaffner del 1968 che molti appassionati di fantascienza attendevano. Oggetto di culto, anche in seguito a tutta una serie di rifacimenti nel genere telefilm; e, soprattutto, ad una visione delle rovine della Statua della Libertà (ancora il potere anticipatore del cinema…) in uno dei più celebri finali a sorpresa che si ricordi.

Contrariamente al primo, IL PIANETA DELLE SCIMMIE di Tim Burton non si svolge più sulla Terra, ma su un pianeta distante anni luce, sul quale delle scimmie aggressive e totalitarie hanno ormai schiavizzato gli umani. Ne conserva cosi il tema prezioso, umanitaristico e anti-razzista. E permette all'autore di BATMAN, EDWARD SCHISSORHANDS o ED WOOD quelle riflessioni che predilige: sui confini fra la natura umana e quella animale, l'individuo e le sue sottospecie, costrette a ripiegare nei sottoboschi meno privilegiati, ad indossare quelle maschere e quei travestimenti che non servano tanto a nascondere, quanto proteggere la propria fragilità e purezza. Nel PIANETA DELLE SCIMMIE s'intravede ancora l'ombra del Joker di BATMAN, dell'indimenticabile Catwoman della seconda versione, del perverso Pinguino: ; il rispetto per il diverso, per l'altro, la convivenza con il popolo della notte. Ma, accettando di rifugiarsi in quei lidi (non sempre, tra l'altro, chiarissimi) di a temporalità fantascientifica, Burton rinuncia all'energia dell'apologo: a quelle caratteristiche premonitrici di un futuro-prossimo di ben altra credibilità. Questo Burton è evidentemente prigioniero delle regole di una grande produzione (accettata forse per riacquistare credibilità commerciale dopo i risultati di cassetta non esaltanti dello splendido SLEEPY HOLLOW): e le imposizioni del genere finiscono per imprigionare in una gabbia una fantasia visionaria giustamente leggendaria. Oltre all' humour dissacrante di MARS ATTACK.

Certo, la qualità sussiste. I fondali ricordano a tratti lo splendore metafisico di quelli di HOLLOW (sono opera del medesimo designer), i costumi sono di un omerico post-modernismo, la fotografia immerge il tutto in un acquario sapiente. Ma, una volta scoperto il giochetto del rovesciamento dei ruoli tra schiavi e padroni, la situazione è drammaturgicamente poco sfruttata . Qualche gag distratta rimanda a GUERRE STELLARI (il pub, la discoteca, la partita a carte, la fauna urbana viste in chiave animale), il travestimento è più o meno riuscito (il meglio, Tim Roth sotto la peluria del cattivissimo generale). Conforta il rifiuto di abdicare all'immaginazione per rifugiarsi nell'effetto digitale; ma il protagonista Mark Wahlberg ha l'espressività del classico pesce lesso. L'ambiguità inquietante del poeta dell'insolito è proprio tutta da ritrovare.


   Il film in Internet (Google)

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